Giosue Carducci - Rime nuove, LXXVII, Il Comune rustico


O che tra faggi e abeti erma su i campi
Smeraldini la fredda orma si stampi
Al sole del mattin puro e leggero,
O che foscheggi immobile nel giorno
Morente su le sparse ville intorno
A la chiesa che prega o al cimitero


Che tace, o noci de la Carnia, addio!
Erra tra i vostri rami il pensier mio
Sognando l'ombre d'un tempo che fu.
Non paure di morti ed in congreghe
Diavoli goffi con bizzarre streghe,
Ma del comun la rustica virtù


Accampata a l'opaca ampia frescura
Veggo ne la stagion de la pastura
Dopo la messa il giorno de la festa.
Il consol dice, e poste ha pria le mani
Sopra i santi segnacoli cristiani:
– Ecco, io parto fra voi quella foresta


D'abeti e pini ove al confin nereggia.
E voi trarrete la mugghiante greggia
E la belante a quelle cime là.
E voi, se l'unno o se lo slavo invade,
Eccovi, o figli, l'aste, ecco le spade,
Morrete per la nostra libertà. –


Un fremito d'orgoglio empieva i petti,
Ergea le bionde teste; e de gli eletti
In su le fronti il sol grande feriva.
Ma le donne piangenti sotto i veli
Invocavan la Madre alma de' cieli.
Con la man tesa il console seguiva:


– Questo, al nome di Cristo e di Maria,
Ordino e voglio che nel popol sia. –
A man levata il popol dicea, Sì.
E le rosse giovenche di su 'l prato
Vedean passare il piccolo senato,
Brillando su gli abeti il mezzodì.