Fratelli d’Italia.

BANDIERE MUSICALI: BREVE COMMENTO AD ALCUNI INNI NAZIONALI

L’Inno dei due Risorgimenti: Fratelli d’Italia.

L’inno italiano ha una lunga storia. Una storia in due tempi.

La sua musica fu composta nel 1847, in uno dei momenti più infuocati del nostro Risorgimento (infatti si dice che l’inno italiano sia nato fra le barricate), dal musicista Michele Novaro. Goffredo Mameli scrisse le parole, d’incitazione alla riscossa. L’inno possiede più strofe, ma attualmente viene eseguito una volta solo. L’inno è diviso in due parti, la prima è un Allegro Moderato, mentre la seconda è un Mosso e parte da un pianissimo che progressivamente cresce fino a un forte-fortissimo.

Fratelli d’Italia fu scelto ufficialmente come nostro inno nazionale solo un secolo dopo, il 12 ottobre 1946. S’era appena concluso il periodo fascista, che aveva usato come inni ufficiali due musiche: il canto Giovinezza, a rappresentare il governo fascista, e la Marcia Reale, a rappresentare il potere del re. Anche nella doppia scelta dell’inno si rivelavano dunque l’ambiguità e le contraddizioni di quel regime. Gli italiani usciti dalla resistenza sentivano il fascismo come una parentesi. Il ritorno dell’inno di Novaro e Mameli significava volersi riallacciare al Risorgimento e ai suoi ideali più nobili.

La storia dell’Inno d’Italia:

Nel Risorgimento

Nell'autunno del 1847, Goffredo Mameli scrisse il testo de Il Canto degli Italiani. Dopo aver scartato l'idea di adattarlo a musiche già esistenti, il 10 novembre lo inviò al maestro Michele Novaro, che scrisse di getto la musica, cosicché l'inno poté debuttare il 10 dicembre, quando sul piazzale del Santuario di Oregina fu presentato ai cittadini genovesi e a vari patrioti italiani in occasione del centenario della cacciata degli austriaci suonato dalla banda municipale di Sestri Ponente "Casimiro Corradi". Era un momento di grande eccitazione: mancavano pochi mesi al celebre 1848, che era già nell'aria: era stata abolita una legge che vietava assembramenti di più di dieci persone, così ben 30.000 persone ascoltarono l'inno e l'impararono; nel frattempo Nino Bixio sulle montagne organizzava i falò della notte dell'Appennino. Dopo pochi giorni, tutti conoscevano l'inno, che veniva cantato senza sosta in ogni manifestazione (più o meno pacifica). Durante le Cinque giornate di Milano, gli insorti lo intonavano a squarciagola: il canto degli italiani era già diventato un simbolo del Risorgimento. Gli inni patriottici come l'inno di Mameli (sicuramente il più importante) ebbero il merito di propagandare gli ideali del Risorgimento e di incitare la popolazione all'insurrezione, senza di che certamente non sarebbe stato emanato lo Statuto albertino, né il re si sarebbe impegnato in un rischioso progetto di riunificazione nazionale che lo interessava poco, mentre era al centro dei pensieri dei genovesi, che erano sudditi leali (dal Congresso di Vienna)
ma non rinunciavano ai propri ideali alti, guidati in questo da personaggi come Mazzini, Garibaldi, Bixio e Mameli, appunto. Quando l'inno si diffuse, le autorità cercarono di vietarlo, considerandolo eversivo (per via dell'ispirazione repubblicana e anti-monarchica del suo autore); visto il totale fallimento, tentarono di censurare almeno l'ultima parte, estremamente dura cogli Austriaci, al tempo ancora formalmente alleati, ma neanche in questo si ebbe successo. Dopo la dichiarazione di guerra all'Austria, persino le bande militari lo suonarono senza posa, tanto che il Re fu costretto a ritirare ogni censura del testo, così come abrogò l'articolo dello Statuto albertino secondo cui l'unica bandiera del regno doveva essere la coccarda azzurra, rinunciando agli inutili tentativi di reprimere l'uso del tricolore verde, bianco e rosso, anch'esso impostosi come simbolo patriottico dopo essere stato adottato clandestinamente nel 1831 come simbolo della Giovine Italia. In seguito fu proprio intonando l'inno di Mameli che Garibaldi, con i "Mille", intraprese la conquista dell'Italia meridionale e la riunificazione nazionale. Mameli era già morto, ma le parole del suo inno, che invocava un'Italia unita, erano più vive che mai. Anche l'ultima tappa di questo processo, la presa di Roma del 1870, fu accompagnata da cori che lo cantavano accompagnati dagli ottoni dei bersaglieri. Anche più tardi, per tutta la fine dell'Ottocento e oltre, Fratelli d'Italia rimase molto popolare come in occasione della guerra libica del 1911-12, che lo vide ancora una volta il più importante rappresentante di una nutrita serie di canti patriottici vecchi e nuovi. Lo stesso accadde durante la prima guerra mondiale: l'irredentismo che la caratterizzava, l'obiettivo di completare la riunificazione che infiammava molti uomini nutrendo così gli eserciti italiani, trovò facilmente ancora una volta un simbolo nel Canto degli italiani.

Nel periodo fascista

Dopo la marcia su Roma, assunsero grande importanza, oltre all'inno ufficiale del regno che era sempre la Marcia Reale, i canti più prettamente fascisti, che pur non essendo degli inni ufficiali erano diffusi e pubblicizzati molto capillarmente. I canti risorgimentali furono comunque tollerati, tranne quelli "sovversivi" di stampo anarchico o socialista come l'Inno dei lavoratori o L'Internazionale, oltre a quelli di popoli stranieri non simpatizzanti col fascismo, come La Marsigliese. Anche gli altri canti furono marginalizzati, e ad esempio La leggenda del Piave veniva riesumato solo una volta all'anno nell'anniversario della vittoria, il 4 novembre; infine nel 1932 una disposizione del segretario del partito, Achille Starace, vietò qualunque canto che non facesse riferimento al Duce o alla Rivoluzione fascista. Nonostante ciò va sottolineato che, a partire dal febbraio del 1944, l'inno di Mameli divenne l'inno nazionale della Repubblica Sociale Italiana.

Nell’Italia repubblicana

Nella seconda guerra mondiale, indicibilmente più dura della prima, non ci fu lo spazio nemmeno per i canti che avevano invece caratterizzato la Grande Guerra nascendo molto spesso dal basso: solo dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 l'inno di Mameli e molti altri vecchi canti assieme a quelli nuovi dei partigiani risuonarono per tutta Italia (anche al Nord, dove erano trasmessi dalla radio) dando coraggio agli italiani. In questo periodo di transizione, sapendo che la monarchia sarebbe stata messa in discussione e che la Marcia Reale sarebbe stata perciò provocatoria, il governo adottò provvisoriamente come inno nazionale La leggenda del Piave. Nel 1945, dopo la fine della guerra, a Londra Toscanini diresse l'esecuzione dell'Inno delle nazioni, composto da Verdi e comprendente anche l'inno di Mameli, che vide così riconosciuta l'importanza che gli spettava. Il Consiglio dei ministri nel 14 ottobre 1946 acconsentì all'uso dell'inno di Mameli come inno nazionale, limitandosi così a non opporsi a quanto decretato dal popolo, anche se alcuni volevano confermare La leggenda del Piave, altri avrebbero preferito il Va', pensiero (celebre aria dall'opera lirica Nabucco) di Giuseppe Verdi e altri ancora avrebbero voluto bandire un concorso per trovare un nuovo inno che sottolineasse la natura repubblicana della nuova Italia, ciò che del resto non era necessario, perché Mameli e il suo inno erano già accoratamente repubblicani (proprio per questo all'inizio erano stati banditi dal regno sabaudo). La Costituzione sancì l'uso del tricolore come bandiera nazionale, ma non stabilì quale sarebbe stato l'inno (una banale dimenticanza?), e nemmeno il simbolo della Repubblica, che essendo fallito il primo concorso dell'ottobre 1946 fu scelto solo con il decreto legislativo del 5 maggio 1948 in seguito a un secondo concorso cui parteciparono 197 loghi di 96 artisti e specialisti, dei quali risultò vincitore Paolo Paschetto, col suo noto emblema.

Per molti decenni si è dibattuto a livello politico e parlamentare circa la necessità di rendere Fratelli d'Italia l'inno ufficiale della Repubblica Italiana, ma senza che si arrivasse mai all'approvazione di una legge o di una modifica costituzionale che sancisse lo stato di fatto riconosciuto peraltro anche in tutte le sedi istituzionali. Nel 2006 è stato discusso nella Commissione affari costituzionali del Senato un disegno di legge che prevede l'adozione di un disciplinare circa il testo, la musica e le modalità di esecuzione dell'inno Fratelli d'Italia. Lo stesso anno, con la nuova legislatura, è stato presentato al Senato un disegno di legge costituzionale che prevede la modifica dell'art.12 della Costituzione italiana con l'aggiunta del comma «L'inno della Repubblica è Fratelli d'Italia». Nel 2008, altre iniziative analoghe sono state adottate in sede parlamentare.

Cerimoniale

Secondo il cerimoniale ufficiale, le «regole scritte e non scritte» prevedono che normalmente dell'inno di Mameli sia eseguita solo la prima strofa senza l'introduzione strumentale, sostituita con massimi onori militari tributabili (ripetizione della frase musicale degli onori per tre volte) a simboleggiare l'inno come uno dei più sacri simboli della repubblica italiana; durante l'esecuzione i soldati devono rimanere fermi presentando le armi, gli ufficiali stare sull'attenti e i civili se vogliono tenere la mano destra sul cuore. Dal 1970 inoltre ogni esecuzione dell'inno nazionale dovrebbe essere accompagnata da quella dell'inno europeo, l'Inno alla gioia della Nona sinfonia di Beethoven.

Critiche all’inno

Fratelli d'Italia è stato spesso criticato, e da sempre molti ne hanno ventilata la sostituzione, specie nel corso degli anni novanta.

Le critiche si appuntano in genere sulla bassa qualità musicale dell'inno, rilevandone un carattere di "marcetta" o "canzone da cortile" di poche pretese; si obietta tuttavia che la funzione e gli scopi degli inni patriottici, popolari e di lotta mal si conciliano, in genere, con un'elevata qualità artistica della melodia:[1] né tutti concordano sulla mediocrità di quella scritta da Novaro. Molti poi non ne considerano così brutta la musica; il compositore Roman Vlad, ex sovrintendente della Scala, a un giornalista che gli aveva sottoposto l'idea di rendere l'inno più orecchiabile per accrescerne la popolarità presso il pubblico giovanile risposte che «no, questa è una proposta assurda. L'inno è così com'è, e non si può alterare. E poi non è vero che sia poco orecchiabile o che sia così brutto come si dice.» Molti concordano tuttavia col dire che è vero che la melodia non è sublime, e sicuramente è inferiore a quella dell'inno tedesco di Haydn e al Va', pensiero, il candidato più frequente alla sostituzione, e che però ciò non basta a fare di quest'ultimo un'alternativa valida. È vero che ai tempi di Verdi il dramma degli ebrei esiliati fu interpretato come una chiara allusione alla condizione di Milano, in mano degli Austriaci, ma ciò non toglie che non contiene nessun riferimento specifico all'Italia o alla sua storia – è il canto di un popolo diverso e perdipiù sconfitto –, perciò ci si chiede quanto possa essere plausibile l'idea di farne l'inno nazionale. I riferimenti storici e patriottici dell'inno di Mameli a taluni paiono addirittura eccessivi, e il testo in generale eccessivamente retorico e patriottardo, ma d'altronde è normale per un inno nazionale, anzi quelli degli altri Paesi sono spesso suscettibili di interpretazioni ben più nazionalistiche: ad esempio il predetto inno tedesco affermava (nella prima strofa, non più cantata dopo la seconda guerra mondiale) «Germania, Germania, al di sopra di tutto / al di sopra di tutto nel mondo», benché questa traduzione possa risultare fuorviante, in quanto l'über alles incriminato si riferisce, nelle intenzioni dell'autore, all'importanza primaria dell'obiettivo di una Germania libera e unificata piuttosto che a una supposta superiorità della nazione tedesca sulle altre. Altri invece leggono i riferimenti a Roma come un'esaltazione e un'invocazione dell'Impero, quasi un fascismo ante litteram: interpretazione capziosa, perché come abbiamo detto il significato è diverso, e del resto non si vede come si possa pensare altrimenti data la storia dell'autore, che era seguace di Mazzini e Garibaldi e si ispirò alla Marsigliese.

Una critica meno comune, mossa da Antonio Spinosa, è che Fratelli d'Italia sarebbe maschilista, poiché non accenna minimamente a imprese compiute da donne come Rosa Donato, Giuseppina Lazzaroni e Teresa Scardi; imprese che in parte sono successive alla morte dell'autore.

Alcuni propongono delle modifiche del testo che senza stravolgerlo ne emendino certi difetti. Una proposta di prima strofa che cancellerebbe i dubbi di maschilismo e nazionalismo imperialista è la seguente: «Fratelli d'Italia / l'Italia s'è desta. / Fratelli e sorelle, / mettiamoci a festa. / Dov'è la vittoria? / che lieta ci arrida, / che premi la sfida / per la libertà.» Quella di effettuare delle piccole modifiche al testo sarebbe l'unica strada percorribile per cancellarne i (presunti) difetti, perché l'inno di Mameli ha segnato la storia dell'Italia, ed è profondamente radicato nella tradizione e negli affetti del popolo italiano, che infatti non ha mai dato corso alle ipotesi di referendum per sostituirlo.


Commento all’inno nazionale

La cultura di Mameli è classica e forte è il richiamo alla romanità. È di Scipione l'Africano, il vincitore di Zama, l'elmo che indossa l'Italia pronta alla guerra

Una bandiera e una speranza (speme) comuni per l'Italia, nel 1848 ancora divisa in sette Stati

In questa strofa, Mameli ripercorre sette secoli di lotta contro il dominio straniero. Anzitutto,la battaglia di Legnano del 1176, in cui la Lega Lombarda sconfisse Barbarossa. Poi, l'estrema difesa della Repubblica di Firenze, assediata dall'esercito imperiale di Carlo V nel 1530, di cui fu simbolo il capitano Francesco Ferrucci. Il 2 agosto, dieci giorni prima della capitolazione della città, egli sconfisse le truppe nemiche a Gavinana; ferito e catturato, viene finito da Fabrizio Maramaldo, un italiano al soldo straniero, al quale rivolge le parole d'infamia divenute celebri "Tu uccidi un uomo morto"

Ogni squilla significa "ogni campana". E la sera del 30 marzo 1282, tutte le campane chiamarono il popolo di Palermo all'insurrezione contro i Francesi di Carlo d'Angiò, i Vespri Siciliani. Fratelli d'Italia

L'Italia s'è desta,

Dell'elmo di Scipio

S'è cinta la testa.

Dov'è la Vittoria?

Le porga la chioma,

Ché schiava di Roma

Iddio la creò.

Stringiamci a coorte

Siam pronti alla morte

L'Italia chiamò.

Noi siamo da secoli

Calpesti, derisi,

Perché non siam popolo,

Perché siam divisi.

Raccolgaci un'unica

Bandiera, una speme:

Di fonderci insieme

Già l'ora suonò.

Stringiamci a coorte

Siam pronti alla morte

L'Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci,

l'Unione, e l'amore

Rivelano ai Popoli

Le vie del Signore;

Giuriamo far libero

Il suolo natìo:

Uniti per Dio

Chi vincer ci può?

Stringiamci a coorte

Siam pronti alla morte

L'Italia chiamò.

Dall'Alpi a Sicilia

Dovunque è Legnano,

Ogn'uom di Ferruccio

Ha il core, ha la mano,

I bimbi d'Italia

Si chiaman Balilla,

Il suon d'ogni squilla

I Vespri suonò.

Stringiamci a coorte

Siam pronti alla morte

L'Italia chiamò.

Son giunchi che piegano

Le spade vendute:

Già l'Aquila d'Austria

Le penne ha perdute.

Il sangue d'Italia,

Il sangue Polacco,

Bevé, col cosacco,

Ma il cor le bruciò.

Stringiamci a coorte

Siam pronti alla morte

L'Italia chiamò

La Vittoria si offre alla nuova Italia e a Roma, di cui la dea fu schiava per volere divino. La Patria chiama alle armi: la coorte, infatti, era la decima parte della legione romana

Mazziniano e repubblicano, Mameli traduce qui il disegno politico del creatore della Giovine Italia e della Giovine Europa. "Per Dio" è un francesismo, che vale come "attraverso Dio", "da Dio"


Sebbene non accertata storicamente, la figura di Balilla rappresenta il simbolo della rivolta popolare di Genova contro la coalizione austro-piemontese. Dopo cinque giorni di lotta, il 10 dicembre 1746 la città è finalmente libera dalle truppe austriache che l'avevano occupata e vessata per diversi mesi

L'Austria era in declino (le spade vendute sono le truppe mercenarie, deboli come giunchi) e Mameli lo sottolinea fortemente: questa strofa, infatti, fu in origine censurata dal governo piemontese. Insieme con la Russia (il cosacco), l'Austria aveva crudelmente smembrato la Polonia. Ma il sangue dei due popoli oppressi si fa veleno, che dilania il cuore della nera aquila d'Asburgo.