Le grandi scoperte geografiche

L'età del Rinascimento aveva prodotto dei cambiamenti nella cultura europea, rendendo la visione del mondo antropocentrica, che a loro volta avevano determinato non solo una rinascita delle materie umanistiche, delle scienze matematiche e della tecnica, ma anche un cambiamento fondamentale della mentalità: l'uomo era ormai investito di fiducia, era esaltata la sua creatività, e ciò si traduce in progresso, in apertura degli orizzonti e ampliamento delle conoscenze. 

Il Rinascimento

A partire dalla seconda metà del XIV° secolo si assistette, in Europa e in particolar modo in Italia (tra i centri rinascimentali più importanti ricordiamo Firenze, Milano, Ferrara, Mantova, Venezia), a un mutamento del clima politico, sociale e artistico-culturale che verrà indicato come il termine di Rinascimento.

Giovanni Verga da "Novelle rusticane " (1883) La roba

da "Novelle rusticane " (1883)
La roba

Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini, steso là come un pezzo di mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello, se domandava, per ingannare la noia della lunga strada polverosa, sotto il cielo fosco dal caldo, nell'ora in cui i campanelli della lettiga suonano tristamente nell'immensa campagna, e i muli lasciano ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere canta la sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria: - Qui di chi è? - sentiva rispondersi: - Di Mazzarò -.

Fratelli d’Italia.

BANDIERE MUSICALI: BREVE COMMENTO AD ALCUNI INNI NAZIONALI

L’Inno dei due Risorgimenti: Fratelli d’Italia.

L’inno italiano ha una lunga storia. Una storia in due tempi.

La sua musica fu composta nel 1847, in uno dei momenti più infuocati del nostro Risorgimento (infatti si dice che l’inno italiano sia nato fra le barricate), dal musicista Michele Novaro. Goffredo Mameli scrisse le parole, d’incitazione alla riscossa. L’inno possiede più strofe, ma attualmente viene eseguito una volta solo. L’inno è diviso in due parti, la prima è un Allegro Moderato, mentre la seconda è un Mosso e parte da un pianissimo che progressivamente cresce fino a un forte-fortissimo.

Fratelli d’Italia fu scelto ufficialmente come nostro inno nazionale solo un secolo dopo, il 12 ottobre 1946. S’era appena concluso il periodo fascista, che aveva usato come inni ufficiali due musiche: il canto Giovinezza, a rappresentare il governo fascista, e la Marcia Reale, a rappresentare il potere del re. Anche nella doppia scelta dell’inno si rivelavano dunque l’ambiguità e le contraddizioni di quel regime. Gli italiani usciti dalla resistenza sentivano il fascismo come una parentesi. Il ritorno dell’inno di Novaro e Mameli significava volersi riallacciare al Risorgimento e ai suoi ideali più nobili.

La storia dell’Inno d’Italia:

Nel Risorgimento

Nell'autunno del 1847, Goffredo Mameli scrisse il testo de Il Canto degli Italiani. Dopo aver scartato l'idea di adattarlo a musiche già esistenti, il 10 novembre lo inviò al maestro Michele Novaro, che scrisse di getto la musica, cosicché l'inno poté debuttare il 10 dicembre, quando sul piazzale del Santuario di Oregina fu presentato ai cittadini genovesi e a vari patrioti italiani in occasione del centenario della cacciata degli austriaci suonato dalla banda municipale di Sestri Ponente "Casimiro Corradi". Era un momento di grande eccitazione: mancavano pochi mesi al celebre 1848, che era già nell'aria: era stata abolita una legge che vietava assembramenti di più di dieci persone, così ben 30.000 persone ascoltarono l'inno e l'impararono; nel frattempo Nino Bixio sulle montagne organizzava i falò della notte dell'Appennino. Dopo pochi giorni, tutti conoscevano l'inno, che veniva cantato senza sosta in ogni manifestazione (più o meno pacifica). Durante le Cinque giornate di Milano, gli insorti lo intonavano a squarciagola: il canto degli italiani era già diventato un simbolo del Risorgimento. Gli inni patriottici come l'inno di Mameli (sicuramente il più importante) ebbero il merito di propagandare gli ideali del Risorgimento e di incitare la popolazione all'insurrezione, senza di che certamente non sarebbe stato emanato lo Statuto albertino, né il re si sarebbe impegnato in un rischioso progetto di riunificazione nazionale che lo interessava poco, mentre era al centro dei pensieri dei genovesi, che erano sudditi leali (dal Congresso di Vienna)

Umanesimo

L'Umanesimo è un movimento culturale che si afferma in Italia nel 1400, cioè in un periodo storico in cui tutti i tentativi di creare uno Stato unitario (almeno nell'Italia centro-settentrionale) erano falliti; cinque Stati regionali avevano imposto a tutta la penisola una politica di equilibrio e di spartizione delle zone d'influenza (Milano, Venezia, Firenze, Roma e Napoli).

LUCIUS ANNEUS SENECA, DE CLEMENTIA I,1-2

1. Scribere de clementia, Nero Caesar, institui, ut quodam modo speculi vice fungerer et te tibi ostenderem perventurum ad voluptatem maximam omnium. Quamvis enim recte factorum verus fructus sit fecisse nec ullum virtutum pretium dignum illis extra ipsas sit, iuvat inspicere et circumire bonam conscientiam, tum immittere oculos in hanc immensam multitudinem discordem, seditiosam, impotentem, in perniciem alienam suamque pariter exsultaturam, si hoc iugum fregerit, et ita loqui secum: 2. 'Egone ex omnibus mortalibus placui electusque sum, qui in terris deorum vice fungerer? Ego vitae necisque gentibus arbiter; qualem quisque sortem statumque habeat, in mea manu positum est; quid cuique mortalium Fortuna datum velit, meo ore pronuntiat; ex nostro responso laetitiae causas populi urbesque concipiunt; nulla pars usquam nisi volente propitioque me floret; haec tot milia gladiorum, quae pax mea comprimit, ad nutum meum stringentur; quas nationes funditus excidi, quas transportari, quibus libertatem dari, quibus eripi, quos reges mancipia fieri quorumque capiti regium circumdari decus oporteat, quae ruant urbes, quae oriantur, mea iuris dictio est.

L. ANNAEI SENECAE EPISTULARUM MORALIUM AD LUCILIUM LIBER PRIMUS I. SENECA LUCILIO SUO SALUTEM


[1] Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae per neglegentiam fit. Et si volueris attendere, magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus. [2] Quem mihi dabis qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, qui intellegat se cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterit; quidquid aetatis retro est mors tenet. Fac ergo, mi Lucili, quod facere te scribis, omnes horas complectere; sic fiet ut minus ex crastino pendeas, si hodierno manum inieceris. [3] Dum differtur vita transcurrit. Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est; in huius rei unius fugacis ac lubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellit quicumque vult. Et tanta stultitia mortalium est ut quae minima et vilissima sunt, certe reparabilia, imputari sibi cum impetravere patiantur, nemo se iudicet quicquam debere qui tempus accepit, cum interim hoc unum est quod ne gratus quidem potest reddere.

[4] Interrogabis fortasse quid ego faciam qui tibi ista praecipio. Fatebor ingenue: quod apud luxuriosum sed diligentem evenit, ratio mihi constat impensae. Non possum dicere nihil perdere, sed quid perdam et quare et quemadmodum dicam; causas paupertatis meae reddam. Sed evenit mihi quod plerisque non suo vitio ad inopiam redactis: omnes ignoscunt, nemo succurrit. [5] Quid ergo est? non puto pauperem cui quantulumcumque superest sat est; tu tamen malo serves tua, et bono tempore incipies. Nam ut visum est maioribus nostris, 'sera parsimonia in fundo est'; non enim tantum minimum in imo sed pessimum remanet. Vale.